Vi presento a modo mio la prima parte de “I mezzi dell’apprendimento e il dialogo con l’alunno” di Antoine de La Garanderie
a questo link il pdf stampabile della mia rielaborazione
I mezzi dell’apprendimento
La pedagogia che de La Garanderie ci illustra in questo libro si fonda sul presupposto che il ruolo della scuola sia quello di insegnare all’alunno ad imparare, mettendolo al centro della didattica e coinvolgendolo in modo attivo come soggetto responsabile nel proprio processo di apprendimento. Secondo l’autore ci sono diverse modalità di apprendimento. Lo studente, ma anche l’insegnate stesso, va reso consapevole delle proprie modalità di apprendimento, e l’apprendimento va proposto in modo diversificato, con il ricorso a molteplici linguaggi per raggiungere tutti gli studenti in modo efficace, valorizzando le modalità di apprendimento che loro hanno già autonomamente sviluppato. In questo modo la didattica viene progettata in base alle esigenze dell’alunno e non viceversa. Infine è compito dell’insegnante guidare l’alunno nell’acquisizione delle modalità di apprendimento che non ha autonomamente sviluppato e guidarlo nella scelta della modalità da usare in ciascuna disciplina. Secondo l’autore questo metodo consente di capire e rimediare all’insuccesso scolastico.
I diversi stili dell’apprendimento
Ciascun individuo acquisisce spontaneamente e in modo inconsapevole un proprio personale metodo di lavoro, che lo accompagna nell’apprendimento scolastico e nella vita senza cambiare in modo sostanziale. Non ci sono tanti metodi quanti sono gli individui, ma possiamo riferirci a due grandi gruppi per quanto riguarda le operazioni che più tipicamente sono associate alla concettualizzazione:
- le evocazioni visive
- le evocazioni uditive
De La Garanderie sottolinea l’importanza di essere consapevoli del proprio metodo di apprendimento. In primo luogo deve esserne consapevole l’insegnante, che ha inoltre la responsabilità di indagare il metodo di apprendimento degli alunni insieme a loro, rendendoli coscienti delle proprie modalità e indicandogli il metodo per potenziarle, applicarle, aggiungerne di nuove. Il testo ci fornisce le istruzioni pratiche per la diagnosi, l’addestramento e l’arricchimento della lingua pedagogica degli alunni.
Esistono gesti mentali pedagogici il cui uso corretto garantisce un buon esito dell’apprendimento.
Pedagogia della pedagogia: come promuovere l’attenzione
Per promuovere l’attenzione l’insegnante ha due importanti strategie da mettere in atto: una riguarda la modalità con cui presenta gli argomenti, che deve essere accattivante, deve avere un giusto ritmo, delle giuste pause ed uno studiato numero di ripetizioni intensionali; l’altra riguarda la responsabilizzazione e la guida dell’alunno nell’atto dell’attenzione, deve cioè renderlo consapevole di questo gesto e fornirgli tutte le indicazioni per gestire l’atto dell’attenzione in modo efficace.
Prerequisiti e modalità per tenere viva l’attenzione
Innanzi tutto, perché uno studente possa riuscire a porre attenzione alla nostra lezione senza perdere il filo o demoralizzarsi, lo studente dovrà essere in grado di seguire con la sua percezione il nostro ritmo. Altrimenti o i suoi canali percettivi vanno potenziati (ad esempio con occhiali, apparecchi acustici o strumenti di ausilio alla lettura) o il nostro ritmo deve cambiare. Uno studente che non riesca a vedere bene quello che mostriamo o a udire bene quello che raccontiamo percepirà la nostra lezione ad interruzioni e finirà col perdere il filo e l’attenzione. E’ importante che l’insegnante fornisca agli alunni le indicazioni per gestire efficacemente l’atto dell’attenzione.
L’attenzione non si fonda su un processo continuo. C’è differenza fra il vedere ed il guardare, fra l’udire e l’ascoltare, ed è proprio l’intermittenza fra queste diverse modalità, fra ciò che si vede e non si guarda e ciò che si vede e si guarda, tra ciò che si sente e non si ascolta e ciò che si sente e si ascolta, che rilancia continuamente l’attenzione e la mantiene viva. La struttura del gesto mentale dell’attenzione muove da un oggetto percepito (visto o udito) senza attenzione, a un oggetto che si sceglie di guardare. Si procede dalla percezione non attenta alla percezione attenta, non dalla non percezione all’attenzione.
Guidiamo gli studenti a formare le immagini mentali
Il gesto mentale dell’attenzione è intrinsecamente definito dall’azione con la quale dopo la percezione si produce una immagine mentale dell’oggetto percepito, che l’immagine sia una visione dell’oggetto o il suono di una frase che descrive l’oggetto. E’ compito dell’insegnante incoraggiare i ragazzi a produrre una immagine mentale di quello che sta cercando di trasmettere e lasciare il tempo agli alunni per portare a termine questa azione. Così facendo l’insegnante esplicita la metodologia dell’attenzione, dà agli alunni un metodo e li rende responsabili dell’applicazione di quel metodo per il proprio apprendimento. Ascoltare con il progetto di ripetere nella propria mente, guardare con il progetto di visualizzare nella propria mente.
L’evocazione dell’immagine mentale avviene contemporaneamente alla percezione, quindi è diversa dalla memoria, che è il gesto di evocare un oggetto in un momento diverso da quello in cui lo percepiamo. L’attenzione dipende più dalla gestione mentale che dall’effettivo interesse per qualcosa, pertanto le buone pratiche della gestione mentale vanno insegnate. Il gesto dell’evocazione mentale non è necessariamente un gesto cosciente, e non presuppone pertanto necessariamente la comprensione (prendere con se, fare proprio). L’insegnante deve richiamare lo studente a prepararsi a percepire con il progetto di produrre un’immagine mentale, così che lo studente compia questo gesto coscientemente e lo faccia proprio.
Proponiamo una varietà di stimoli
L’insegnante deve conoscere le modalità di apprendimento dei suoi alunni e proporre i contenuti nelle modalità che loro gestiscono meglio. In un tipico contesto classe, questo può significare proporre i contenuti in diversi modi per permettere a tutti di fare attenzione e creare le proprie immagini mentali. Inoltre l’insegnante deve potenziare l’utilizzo delle modalità di apprendimento che non sono state sviluppate in modo autonomo dagli alunni facendo appunto una pedagogia dell’apprendimento, insegnando cioè ad imparare con modalità ancora non utilizzate guidati dall’insegnante. Le modalità da sviluppare e potenziare non si riducono solo a quella visiva e uditiva..
La ri-flessione nell’ottica del suo apprendimento pedagogico
Ri-flettere nel contesto pedagogico significa, ricondurre l’immagine mentale dell’oggetto che ci siamo creati ad una regola, per trovare la soluzione. C’è ri-flessione perché c’è un ri-torno dall’elemento consideralo alla regola che deve essere evocata (che supponiamo sia stata precedentemente acquisita), e una flessione per applicare la regola alla situazione data. La riflessione serve per acquisire sia la padronanza di gesti fisici che intellettuali, non può prescindere dall’uso delle immagini mentali e può svolgersi sia in modo induttivo che deduttivo.
Il metodo della ri-flessione
Il libro ci fornisce esempi molto chiari di come esercitino l’atto della riflessione un visivo che ha una buona gestione mentale, un uditivo che ha una buona gestione mentale, un alunno che ha imparato a gestire bene sia il canale visivo che quello uditivo e una serie di alunni che invece hanno una gestione mentale carente o disorganizzata dei propri canali preferiti di attenzione. Il libro ci dice che qualunque sia il canale preferenziale, con una buona gestione mentale si possono raggiungere risultati soddisfacenti in tutti i campi, che tendenzialmente un visivo trae più vantaggio da una pedagogia induttiva mentre un uditivo trae più vantaggio da una pedagogia deduttiva e che si può imparare a mettere in pratica una gestione mentale efficiente. L’evocazione in forma visiva o uditiva non fa scattare automaticamente l’applicazione di una regola precedentemente registrata, ma c’è una procedura mentale che costituisce l’atto di riflessione e che va spiegata all’alunno. La procedura fondamentale prevede la percezione dei dati, la loro evocazione, il ritorno alle leggi registrate e l’applicazione di quelle appropriate. Perché questa sequenza avvenga senza difficoltà bisogna, attraverso l’evocazione, mettere nell’orbita mentale l’oggetto percepito per attivare l’evocazione delle acquisizioni culturali da applicare (solo gli oggetti culturali comunicano fra loro, non gli oggetti visivi con le regole che abbiamo in memoria sotto forma di acquisizioni culturali). Inoltre per evitare le ambiguità bisogna anche aver acquisito una regola fra le regole: quella che dice come si fa a scegliere fra le varie regole che ho acquisito in precedenza. O nei casi in cui sia possibile, non sarà una regola ma l’ingegno a guidarmi in questa scelta (ad esempio in campo letterario).
Che fine hanno fatto l’iniziativa e la scoperta?
Se tutto nella riflessione risponde ad un metodo, e consiste nel rievocare regole da mettere in relazione alla mia immagine mentale, come è possibile fare nuove scoperte? Quando le regole e i modelli acquisiti si rivelino insufficienti a risolvere il mio problema, a partire da tali insufficienze e dagli aspetti positivi che potrei connotare, trovo nuovi modelli e nuove regole. Secondo l’autore senza una base culturale non c’è nuova inventiva ma banalità. La scoperta passa per una riflessione allenata degli schemi che ho acquisito e delle loro applicazioni per poter produrre nuovi schemi.
Indagare anche oltre la classe e potenziare
L’insegnante avrà il compito di indicare la strada per la riflessione agli alunni tenendo conto del metodo più adatto ai loro stili di apprendimento (visivo o uditivo). In tutti casi in cui gli alunni non riescano a portare a termine con successo l’atto della riflessione sarà opportuno indagarne le ragioni, ad esempio constatando che un alunno prevalentemente visivo non applica le modalità di attenzione e riflessione proprie del visivo ad una certa materia perché non è stata guidato in modo specifico in quel caso verso quella metodologia. Qualora tutte le considerazioni basate sui risultati scolastici non aiutino a capire, l’indagine deve estendersi anche oltre la scuola. Ad esempio, l’alunno fuori dalla scuola dimostra una buona manualità? Magari questo mi suggerisce che sia un visivo. Infine, una nuova abitudine mentale può sempre essere acquisita e vale la pena che l’insegnante mi guidi a farlo, aiutandomi a partire dalle immagini mentali che sono in grado di produrre e ad aggiungere immagini mentali di un nuovo tipo. L’analisi dell’atto di riflessione va fatto insieme all’alunno e lo aiuta ad acquisire una sicurezza metodologica.
Il futuro è il luogo della memoria
Il gesto mentale che permette di memorizzare consiste nell’inserire in un progetto per il futuro ciò che si intende acquisire. Ne deriva che il luogo dei ricordi è nell’immaginazione del futuro. Non c’è memorizzazione senza immaginazione del futuro, non c’è immaginazione creativa senza memoria. Il gesto di progettare per memorizzare viene effettuato in modo diverso e con risultati diversi dalle persone che utilizzano immagini mentali visive o immagini mentali uditive. Nell’esempio riportato da de La Garanderie, il bambino che proietta le immagini mentali che acquisisce in azioni future è quello che riflette e memorizza meglio. Il testo è ricco di esempi, ci viene presentata la memoria del visionario (che si vede già in una certa situazione) e quella dell’amante di belle storie (che pregusta già di raccontarle a qualcuno), la scarsa memoria di quelli che non riescono a intravedere progetti per il futuro e la memoria formidabile di quelli che leggendo una parte si immaginano già sul palco sul quale la reciteranno e infine la strana contraddizione data dai ricordi che ci siamo ripromessi di dimenticare e dai ricordi assenti di qualcosa che sappiamo solo che volevamo ricordare. Non basta proiettare nel futuro, bisogna proiettare nello scenario o contesto futuro nel quale intendiamo utilizzare quella memoria.
Il primo successo scolastico non si dimentica mai
Molti studenti bravi ricordano bene che il loro successo a scuola è arrivato subito. Dai loro racconti spesso si può trarre che il primo successo scolastico li ha aiutati a prefigurare la classe come luogo del possibile successo, aprendo la loro mente ad un metodo proiettato verso il futuro: studiare la lezione con la prospettiva di recitarle bene poi in classe, studiare prefigurando già le risposte corrette in possibili future verifiche. Questa condizione necessaria non è tuttavia sufficiente per se. Bisogna essere allenati e svolgere tutte le operazioni mentali dell’apprendimento con metodo.